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Laboratorio sulle emozioni con l’istituto comprensivo di Civitella in Val di Chiana

image(12)Nel mese di maggio l’Ombelico terrà un laboratorio sulle emozioni per gli insegnanti di scuola dell’infanzia dell’istituto comprensivo di Civitella in Val di Chiana. Per saperne di più abbiamo incontrato Rosamaria Raccuglia, pedagogista clinico, e Benedetta Piantini, arteterapeuta.

Dottoressa Raccuglia, quest’anno avete lavorato molto nella formazione degli insegnanti di scuola d’infanzia.

R.R. Sì, dopo gli incontri laboratoriali tenuti presso l’Istituto Vasari di Arezzo e l’Istituto Garibaldi di Capolona, continuiamo il nostro lavoro all’interno dell’istituto comprensivo di Civitella in Val di Chiana. Noi crediamo che riflettere e lavorare con gli insegnanti sulle emozioni (di ogni bambino, ma anche dell’adulto che si relaziona con lui) sia un primo ed importante passo per riconoscere la persona in tutti i suoi aspetti, cognitivi, emotivi e relazionali.

Questo laboratorio si articolerà in tre momenti, come saranno organizzati? Cosa pensate di proporre alle insegnanti?

R.R. Nel corso del laboratorio avremo modo di proporre suggestioni e riflessioni di alcuni pedagogisti e psicologi che potranno essere da guida per la comprensione delle azioni educative concrete che svilupperemo nel corso degli incontri: l’utilizzo della musica, la lettura, l’arte, il gioco. Il pedagogista clinico, in questo contesto lavora con gli insegnanti per riuscire a creare, all’interno delle sezioni, un ambiente educativo, relazionale ed espressivo, dove i bambini possono trovare la disponibilità all’ascolto, gli strumenti ed uno spazio fisico in cui poter realizzare le proprie esperienze di crescita.

Alla luce di quanto esposto dalla Dott.ssa Raccuglia, come si inserisce l’arteterapia nel contesto formativo?

B.P. L’arteterapia, che sperimenteremo nelle sue modalità plastiche (creta), fluide (acquarelli e tempere) e secche (cere e pennarelli), rappresenta una proposta concreta, di facile utilizzo, che permetterà alle insegnanti di apprendere quelle tecniche di accompagnamento all’uso di questi materiali con le finalità espressive e terapeutiche che l’arte comprende. Spesso le tensioni emotive riescono a manifestarsi più efficacemente con l’espressione non verbale del disegno, del modello plastico, perché si utilizza un canale non mediato dal linguaggio, che potrebbe, invece, limitare o deviare la comunicazione.

In che modo farete sperimentare alle insegnanti queste tecniche?

B.P. In maniera molto semplice ed efficace: forniremo loro le conoscenze di base sull’utilizzo dei materiali, per avere consapevolezza degli aspetti dinamici e tecnici dei vari prodotti. Dopodiché, proporremo le stesse attività che potranno essere indicate ai bambini: è fondamentale proporre materiali che vadano incontro alle loro sensibilità, lasciando libero il bambino anche nella scelta sulla tecnica espressiva preferita. Va, poi, riconosciuta l’importanza del prodotto, che va oltre alla qualità estetica: esso, infatti, comunica le emozioni del bambino, e va sempre valorizzato.

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L’arteterapeuta de l’Ombelico interverrà venerdì 12 aprile al convegno “Autismo: conoscere, cooperare, crescere”

Mano_colorata1Venerdì 12 e sabato 13 aprile si terrà, a Cortona, presso il  Centro Convegni S.Agostino il convegno  “Autismo: conoscere, cooperare, crescere”. Nel corso dei lavori, la Dott.ssa Benedetta Piantini, arteterapeuta de l’Ombelico, presenterà un case study.

Come si inserisce il tuo intervento all’interno del convegno sull’autismo?

Il convegno è organizzato per genitori, insegnanti e addetti ai lavori. Il venerdì mattina si terrà la parte più programmatica di interesse medico e assistenzialistico, mentre nel pomeriggio ci saranno i workshop specifici. Durante i gruppi di lavoro saranno esposti i lavori realizzati nel corso della mia esperienza e interverrò riguardo l’importanza dell’arteterapia nei progetti educativi dentro le scuole.

Dunque ritieni fondamentale un lavoro strutturato nelle scuole?

Per la scuola l’arteterapia è un’attività significativa, che andrebbe inserita all’interno del progetto educativo.  L’aspetto creativo-espressivo è di notevole aiuto, specie nei bambini e nei ragazzi con difficoltà nella comunicazione.

Cosa racconterai, nello specifico?

Presenterò il lavoro svolto l’anno scorso con un alunno con sindrome autistica del Liceo Artistico. Con l’aiuto e il supporto delle insegnanti di sostegno del ragazzo, ho strutturato un percorso educativo specifico che potesse condurre il ragazzo attraverso la lettura del celebre romanzo di Antoine de Saint-exupéry, “Il Piccolo Principe”, cogliendone gli aspetti più significativi attraverso la sua personale reinterpretazione dei disegni dell’autore, con l’uso degli acquerelli.

Al termine del percorso, come hai valutato l’intervento?

Il percorso è risultato molto interessante oltre che efficace visto lo sviluppo delle competenze del ragazzo, sia nel disegno che nell’uso del colore, in particolare dell’acquerello. Nel caso specifico lo sviluppo delle competenze nel disegno diventano fondamentali anche per lo sviluppo del linguaggio grafico e quindi comunicativo/relazionale del ragazzo.

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Volontà e psicosintesi

OvoideCorniceE SE L’ERBA VOGLIO FOSSE INVECE PROPRIO QUELLA DEI RE?

di Francesco Zarro

 “Babbo, è vero che non si può dire: < VOGLIO UN GELATO!>?”

“No, non si può… l’erba voglio non esiste nemeno nel giardino del Re!”

“Però posso dire : < DA GRANDE VOGLIO FARE IL DOTTORE!>?”

“Sì, questo si può proprio dire!”.

 In questi anni di lavoro psicosintetico su di me e con gli altri, molte volte mi sono confrontato con il tema della VOLONTÀ e  con gli effetti che questa può avere nella nostra visione del mondo e nella nostra capacità di relazionarcisi ma mai come l’altra mattina in macchina con mia figlia di 5 anni, mi è risultato chiaro quanto letto, studiato e sperimentato.

La semplificazione della lingua nel corso degli ultimi decenni, ha portato alla riduzione delle espressioni e delle sfumature verbali possibili tanto che si è venuto a creare un grande equivoco intorno al verbo “VOGLIO” in quanto usato indistintamente come sinonimo sia del verbo “SCELGO” che di quello “PRETENDO” che anche di quello “DESIDERO”.

Ma quale differenza esiste realmente tra queste diverse accezioni e quali le possibili conseguenze?

Ogni bambino, ad oggi magari diventato nonno, è cresciuto con l’idea che affermare con decisione e con il modo indicativo la propria volontà sia un segno di superbia, arrivismo, un segno di superiorità perché  significa dare ordini e l’unico che può dare ordini è colui che ha al di sotto del proprio rango qualcuno a cui indirizzarli… un re appunto! Eppure l’affermazione “VOGLIO”  crea una risonanza dentro di noi  molto forte, molto più forte di quando diciamo “No!”, perché questo verbo si accompagna ad un senso di dominio e “comando” dove i soggetti del nostro dominio non sono certo gli altri bensì le voci, i personaggi, le parti, insomma tutte quante le sub personalità, come si dice in psicosintesi, presenti all’interno di noi stessi.

Ma allora perchè ci sono così tante resistenze nell’usare il verbo voglio con libertà? Chi di noi, infatti, non è cresciuto sentendosi dire “l’erba voglio non esiste nemmeno nel giardino del re!”?

Questa frase ha accompagnato la nostra cultura occidentale da sempre, forse per effetto di una distorta interpretazione dell’insegnamento religioso o di una meta così ambita che è l’umiltà. Ma anche l’ambito psicologico e delle scienze umane, forse mosso dalle stesse limitazioni, non ha mai approfondito adeguatamente quello che è l’aspetto “VOLONTÀ” se non attraverso il contributo di Roberto Assagioli con la Psicosintesi. Solo recentemente è diventato oggetto di studio per quanto riguarda quelle pratiche coaching o di comunicazione assertiva che rimandano ad una sorta di abilità nel mettersi al di sopra degli altri e delle varie situazioni; ma essere affermativi ed assertivi, ci ricorda Assagioli, è uno stadio fondamentale di qualsiasi atto di volontà che riguardi sì gli oggetti esterni ma anche quelli interni.

Come dicevamo precedentemente, se riflettiamo, ad oggi, la parola VOGLIO noi stessi la usiamo indistintamente come sinonimo di pretendo, desidero e scelgo, ma il valore semantico di ognuna di queste parole è decisamente diverso e non si tratta di sfumature ma di vere e proprie possibilità: io scelgo, nelle sue  varianti, significa preferisco; io desidero, vorrei, mi piacerebbe; io pretendo, voglio ora, esigo; tre valori diversi sia sul piano intrapsichico, sia sul piano relazionale! Anche nell’ ambito educativo, non fare differenze tra queste tre affermazioni può essere fonte di fraintendimenti e di veri e propri fallimenti degli stessi stili o mete che ci siamo preposti.

Mi sono accorto con bambini piccoli in età prescolare che spiegare tutto questo e restituire al verbo VOGLIO nella sua accezione di “SCELGO”  tutta la sua potenza e dignità, è determinante. Quindi, ripuliamo ai bambini il campo della volontà, anche letteralmente, da quelli che sono gli altri significati, validi, non censurabili ma diversi!

 Il pretendo, infatti, è un atto di volontà zoppo perché frutto del non riuscire a partire da un ascolto e da una presa di coscienza reale di quello che sto vivendo: se ho bisogno di pretendere è perchè non riesco ad equilibrarmi rispetto ad altri bisogni, a ciò che è giusto, ad altre persone; il pretendere è frutto di un principio di piacere, come direbbe Freud e non di realtà; è il segno di “volere” un dato oggetto senza essere, però, disposti a compiere il percorso che conduce ad esso o a pagarne il “costo”. In psicosintesi si direbbe che l’Io non è centrato rispetto alla stella di funzioni e che pretendere è un atto solo individualistico e senza dubbio frutto dell’espressione di una singola subpersonalità che non tiene conto della complessità.

 La stella delle funzioni  infatti ci indica i canali attraverso cui decodificare il proprio mondo interiore ed esterno fatto di sensazioni, emozioni, impulsi, immagini, pensieri:  muoversi tra i contenuti di questi, attraverso un corretto uso della volontà significa essere in grado, come  un tecnico delle luci in teatro, di spostare il fuoco dell‘ascolto/visione ora sull’uno ora sull’altro canale oppure sulla comprensione di tutti insieme e solo allora, dopo aver raccolto i contributi di tutto, muovere le proprie scelte… costruire il proprio modello ideale, ciò che vogliamo e possiamo essere!. 

Il desiderio, d’altro canto, è un aspetto meraviglioso però non è detto che tutto ciò che desidero, nonostante alimenti il mio mondo immaginifico, abbia la forza, il permesso, il nulla osta o l’adesione al mio mondo valoriale e ideale, per poter essere trasformato in scopo e quindi in atto di volontà, rimanendo, quindi, solo un sogno o una splendida fantasia.

Facendo in modo che la VOLONTÀ torni ad essere quello che è, quindi capacità di affermazione, composizione e scelta (forte, buona ma anche saggia), si trasforma in un qualcosa di meraviglioso: è l’acquisizione della titolarità della propria vita, è il sentire che non sono passivo, inerme; è avere la chiara esperienza di essere al centro della propria esistenza che allora diventa materiale plastico che, come pastella nelle mani di un bambino, può essere manipolata, modellata, alla sola condizione, però, che non venga abbandonata perché si seccherebbe informe e cristallizzata.

 E allora, forse, bisognerebbe rivedere il detto popolare da insegnare ai nostri figli e ridirci che:

l’erba pretendo non esiste nemmeno nel giardino del re;

l’erba desidero cresce solo nei giardini pensili della notte, quelli dove le stelle si vedono meglio,

ma l’erba voglio è solo quella dei Re

… i re che non comandano sugli altri o sono al vertice di un’ipotetica gerarchia sociale ma che sono i tutori, i governatori ed i titolari unici della loro stessa vita!

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“Genitori e figli” di Francesco Zarro

Vi proponiamo la visione e l’ascolto della conferenza che il Dott. Francesco Zarro, psicoterapeuta del centro “L’Ombelico” ha tenuto l’anno scorso ad Arezzo sul tema “Genitori e figli”, all’interno del ciclo di incontri organizzati dall’Associazione Arezzo Psicosintesi.

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Come un faro nella notte: il Sé

 Venerdì 11 Maggio 2012 ore 21,00 – Aula Magna Ist.Tecnico Commerciale “M. Buonarroti”

Piazza della Badia 2, Arezzo

“Ognuno può e deve fare del materiale vivente della sua personalità, non importa se marmo, argilla o oro, un oggetto di bellezza in cui possa manifestarsi adeguatamente il suo Sé transpersonale” (Roberto Assagioli).

A conclusione del ciclo di conferenze sui “7 passi per la trasformazione” dell’Associazione Arezzo psicosintesi il dott. Francesco Zarro alle ore 21,00 affronterà uno dei temi centrali della concezione psicosintetica: il Sé, riflettendo insieme ai partecipanti sull’influenza che questo esercita nel quotidiano di ciascuno e come possa essere percepito come ostacolo o come traiettoria sottile dello svolgersi delle nostre esistenze.

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